Storia del Comune

Il Comune di San Pietro Clarenza è situato in collina ad un'altitudine di m. 463 sul livello del mare nel versante sud dell'Etna.
La località di San Pietro Clarenza con una popolazione di circa 6000 abitanti, confina con Catania, Mascalucia, Belpasso, Camporotondo Etneo, Misterbianco.
Le origini di San Pietro Clarenza possono farsi risalire ai primi secoli dell'epoca medievale in coincidenza con l'arrivo dei Musulmani provenienti dal Nord Africa. Le prime testimonianze della più antica esistenza del Casale sono fornite: da una iscrizione latina sul portale della Chiesa di Santa Caterina risalente al 1316, e da un'ulteriore iscrizione sulla campana nella Chiesa Madre dedicata a S. Pietro (oggi nella Chiesa della Madonna delle Grazie) del 1606.
I primi documenti storici risalgono invece al 1646 quando Filippo IV di Spagna ordina al viceré di "rinunciare ai privilegi ed ai diritti" sui casali dell'Etna.Il Casale di San Pietro, tramite il Duca Giovanni Andrea Massa, fu rivenduto ad Antonio Rejtano divenuto Principe di San Pietro nel 1648. Da un atto di vendita del 1779 si sa che il Casale di San Pietro venne acquistato da Giuseppe Mario Clarenza, un nobile catanese che aggiunse il proprio cognome a quello del Casale che da allora assunse la denominazione di San Pietro Clarenza. portale pietra lavicaAnche San Pietro Clarenza, così come altri centri del versante sud dell'Etna, venne interessato dall'eruzione del 1669 che distrusse quindici casali e parte di Catania.L'evento catastrofico interessò l'intero quartiere di Sant'Antonio fino a distruggere la Chiesa Maggiore definita da Carlo Mancino "grande e bellissima".

I Principi e i Baroni di San Pietro

Il casale di San Pietro venne acquistato dal genovese Giovanni Andrea Massa, Marchese di San Giovanni La Punta e Duca del Castello di Jaci. Nel 1646 venne comprato dal nobile siciliano Antonio Reitano, il quale due anni dopo ottenne il titolo di Principe di San Pietro da Filippo IV, Re di Spagna. In seguito egli divenne Cavaliere di Malta e Senatore a Messina. Morì nel 1674 e nel testamento nominò erede usufruttuaria la moglie, Felicia Alberti, e proprietaria la figlia Domenica. Quest'ultima sposò Francesco Petrasanta che si investì, come marito e donatario, del titolo di Principe di San Pietro nel 1683. Da questa unione nacque Egidio che fu investito del titolo nel 1744. Nel 1769 il Casale fu venduto al nobile catanese Giuseppe Mario Clarenza. Egli faceva parte di una nobile famiglia di origine greca ed era titolare di uno stemma con lo sfondo d'argento raffigurante un braccio armato tendente una spada ed accompagnato a destra da una cometa e a sinistra da due stelle a sei raggi, il tutto di colore rosso. Quando venne acquistato il Casale, seguendo una consuetudine in vigore a quei tempi, e cioè che il compratore dava il proprio cognome alla terra acquistata, Giuseppe Mario Clarenza, aggiunse al nome di San Pietro, il proprio cognome per cui il Casale venne da allora chiamato San Pietro Clarenza (anno 1779).
A Giuseppe Mario Clarenza successe il figlio Mario Alessandro Paternò Castello, che morì nel 1798. A questi successe il figlio Giuseppe Clarenza Guttadauro. Il titolo e le terre passarono poi a Giuseppe figlio di Alessandro Mario, nato a Catania nel 1840, il quale sposò la nobildonna Maria Zappalà, dama di corte della Regina Margherita. Essi ebbero cinque figli: Lucia, Concetta, Giovanna, Amalia e Mario. Questi ultimi due, entrambi non sposati, vissero a San Gregorio. Nel cimitero di San Gregorio esiste un grande sepolcro fregiato da uno stemma gentilizio e da titoli nobiliari, ove giacciono i resti mortali di Clarenza Giuseppe fu Mario, deceduto nel 1929, della moglie Zappalà Maria fu Carlo, deceduta nel 1943 e dei figli Amalia e Mario.

Palazzo della famiglia Clarenza a Catania

Dopo aver acquistato il Casale, il Clarenza non costruì alcuna dimora gentilizia, in quanto non dimorò ne vi sostò per il periodo estivo. Tutti i componenti della famiglia abitarono in un maestoso palazzo che tutt'ora esiste nei pressi di Piazza Bellini a Catania, precisamente nell'attuale via Michele Rapisardi, sul cui frontone è ancora visibile lo stemma gentilizio. Come quasi tutti i nobili, egli preferì abitare in città ove svolgeva una vita più comoda e brillante. Nessuno dei discendenti della famiglia Clarenza si curò dei Casali sparsi nei loro feudi, preferendo trascorrere la villeggiatura nel paese di San Gregorio ove edificarono una grande dimora con giardini all'interno, in cui si stabilirono definitivamente solo quando vendettero il palazzo di Catania.

Quartiere

In seguito alla grande eruzione del 1669, che distrusse la maggior parte del territorio del paese, il centro del Casale divenne lo spiazzo antistante la Chiesa di Santa Caterina.
L'intero territorio abitato venne diviso nei seguenti quartieri: Santa Caterina, Madonna delle Grazie, Sant'Antonio, San Gaetano, Maddi e Carcara. Ogni quartiere portava il nome del Santo a cui era dedicata la Chiesa edificata. Quello chiamato "Maddi" o "Mardi", posto in periferia, e confinante con il territorio del Casale di Mascalcia, si ritiene abbia preso il nome da un gruppo di artigiani provenienti dal quartiere chiamato "li lombardi" che si trova nel Casale vicino.
Il quartiere chiamato Carcara, anch'esso in periferia e confinante con il territorio di Camporotondo, venne così indicato per via di una attrezzata e grande fornace per la cottura di mattoni e tegole. La "Strada Maestra", tracciata intorno al 1760, attraversa tutto il centro abitato, lungo di essa vennero costruite le dimore più interessanti, fornite di ampie balconate e di ingressi costruiti in pietra lavica scolpita. Il centro di ogni quartiere era lo spiazzo antistante la Chiesa, luogo di riunione degli abitanti. Lo spiazzo, antistante la Chiesa di Santa Caterina, in seguito battezzato Piazza della Vittoria, oltre a costituire il centro del Casale in cui fervevano tutte le attività artigianali e religiose, era il luogo prescelto dagli abitanti per le riunioni di ogni tipo.

Tra storia e leggenda: il Palazzazzo

A poca distanza dall'incrocio tra la via Roma e la via Umberto, si ergeva un antico e alto caseggiato in pietra lavica che la gente ha sempre chiamato "u Palazzazzu". Si trattava di una costruzione a due piani di cui il primo molto basso con due ampie finestre dal lato della strada. Attraverso un ampio ingresso realizzato in pietra lavica scolpita, si accedeva al cortile. Sul lato sinistro di questo cortile iniziava una scalinata che portava al piano superiore. Dal cortiletto, infine, si accedeva ad un ampio spazio al centro del quale troneggiava una grande cisterna circolare con le bordure in pietra lavica intarsiata.
La costruzione di tale caseggiato risale a moltissimi anni addietro; alcuni hanno ritenuto di identificare in questa costruzione il "dammusu" che in ogni Casale era adibito alla custodia preventiva dei responsabili dei reati. Ma la fantasia popolare non si è fermata perché una leggenda vuole che in questo tetro edificio fosse stata nascosta una pentola ricolma di monete d'oro e a coloro che si fossero avventurati per cercarla, sarebbe apparso un terribile custode chiamato Pircanti.

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Economia

Nato come piccolo borgo rurale, San Pietro Clarenza aveva come fonte primaria di sostentamento l'agricoltura, anticamente basata sulla coltura della vite, quasi totalmente sostituita dagli agrumi intorno agli anni sessanta.
Il territorio collinare in parte sciaroso, per il resto caratterizzato da vari dislivelli è organizzato su terrazzamenti limitati e sorretti da muri a secco in pietra lavica grezza di varie dimensioni detti nel dialetto locale "cuncurrenti".
Il territorio agricolo oggi esistente ha un'estensione di 98,77 ha, diviso in 120 aziende.
Le colture riscontrate sono: agrumi, olivo; le minori: vite, fico d'india.
Non si tratta di colture specializzate, spesso infatti le colture suddette si trovano consociate con altre: fico mandorlo, noce, pero, pesco, gelso, melo, cotogno, ciliegio, prugno dando luogo a frutteti atti a soddisfare esigenze familiari e non di mercato. Oggi visti i casi di abbandono, le parti di territorio incolte sono in aumento ed in effetti l'agricoltura clarentina è in crisi.

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